Thich Nhat Hanh: I sedici esercizi del Sutra Anapanasati

I sedici esercizi esposti in questo sutra sono divisibili in quattro gruppi: i primi quattro sono focalizzati sul corpo; i secondi quattro sulle sensazioni, da intendersi come una formazione mentale; i successivi quattro sulla mente, che equivale ad altre quarantanove formazioni mentali; gli ultimi quattro sono focalizzati sui fenomeni, ovvero le percezioni, la cinquantunesima formazione mentale. In questo senso è possibile tracciare un parallelo con il Sutra sui Quattro Fondamenti della Presenza Mentale, che ci invita a mettere in pratica la contemplazione del corpo, delle sensazioni, della mente e degli oggetti della mente.

Nel primo esercizio del Sutra Anapanasati riconosciamo una cosa semplice e miracolosa:

Inspirando, so che sto inspirando. Espirando, so che sto espirando.

Riportate la vostra mente al corpo e al respiro, e all’improvviso vi rendete conto: “Oh, sto inspirando, sto espirando”. Riconoscete semplicemente il vostro respiro. Dire “so che sto…” significa che state portando tutta la vostra attenzione, tutta la vostra mente, sull’inspirazione e sull’espirazione. Poiché l’attenzione della vostra mente è tutta concentrata sul respiro, ecco che senza sforzo potete lasciare andare le preoccupazioni, la rabbia, l’avidità, la paura, la gelosia. La presenza mentale è come una guardia che controlla i cancelli di una fortezza e che, quando vede una persona che entra o esce dalla fortezza, sa se si tratta di una persona del posto o di uno straniero.

La presenza mentale è la guardia che sa che state inspirando e sa che state espirando. La vostra mente sa riconoscere se una certa energia è salutare o nociva. Andando avanti, sviluppando sempre di più la pratica, saprete riconoscere “questa è gelosia, quella è compassione”, ma all’inizio esercitate semplicemente la mente a riconoscere il respiro. Alcuni mettono una mano sull’addome e vi portano tutta l’attenzione: “Il mio addome si solleva (inspirando), il mio addome si abbassa (espirando)”. Concentrando la vostra attenzione sul sollevarsi e l’abbassarsi dell’addome, tutti gli altri pensieri si arrestano.

Quando ricevete delle notizie che vi agitano, e non riuscite a dormire, portate tutta la vostra attenzione al movimento dell’addome: consentirete così al cervello di riposare, all’agitazione e all’irritazione di calmarsi. Continuando questo esercizio anche per soli 5, 10 o 15 minuti riuscirete a conciliare un sonno profondo.

Il secondo esercizio consiste nell’osservare e prendere atto della lunghezza del respiro:

Inspirando un lungo respiro, so che sto inspirando un lungo respiro. Espirando un lungo respiro, so che sto espirando un lungo respiro.

Ci sono dei praticanti che cercano di forzare e modificare il proprio respiro. Il Buddha ha detto che questo non è il modo corretto. Non pensate che un respiro lungo sia meglio di un respiro breve, o viceversa. Prendete soltanto atto della lunghezza del vostro respiro per quella che è naturalmente. A volte il fatto che il respiro sia corto è un bene, come quando, dopo aver fatto un grosso sforzo, abbiamo bisogno di fare dei respiri più brevi.

Altre volte, invece, ci può far bene stenderci e fare dei respiri lunghi e profondi. Un respiro lungo va bene, un respiro breve va bene, tutto dipende da cosa è meglio per il corpo e la mente in quel momento. Siate dunque semplicemente consapevoli del vostro respiro, senza cercare di intervenire su di esso. Non fate nulla, se non osservare e riconoscere, senza reprimere o forzare. Quando c’è il sole, la sua luce non fa altro che risplendere sulla terra. Non cerca di diffondere i suoi raggi ovunque e non obbliga la terra ad assorbirli. Il sole splende e basta. Cerchiamo di praticare in modo totalmente non violento, in modo amorevole verso il nostro respiro.

Quando siete seduti con la schiena curva non dovete far altro che riconoscere questo fatto: con naturalezza il vostro corpo tornerà nella posizione corretta. Non dobbiamo dire quanti secondi o quanti metri è lungo il respiro! Dobbiamo solo esserne consapevoli durante tutta la sua durata: cominciamo dall’inizio dell’inspirazione e teniamo la mente insieme al respiro fino alla fine. Quando espiriamo è lo stesso: seguiamo da vicino il respiro finché non ha termine. Il praticante deve dedicarsi diligentemente a questi due primi esercizi, in modo da padroneggiarli.

Il terzo esercizio consiste nell’essere consapevoli del corpo:

Inspiro e sono consapevole di tutto il mio corpo, espiro e sono consapevole di tutto il mio corpo.

Inspirando sono consapevole dell’aria che entra e riempie i miei polmoni. Posso sentire l’espansione e la contrazione del diaframma, sento che il respiro tocca ogni parte del corpo. Il respiro è connesso ai movimenti del corpo, ma nel Buddhismo esso è inteso anche come parte della mente. Quando camminate siete consapevoli di ogni vostro passo e quando alzate una mano portate l’attenzione al sollevarsi della mano. Se alzando la mano seguite il respiro, questo diventa elemento di unione tra corpo e mente.

Seguendo il proprio respiro si possono unire corpo e mente per cinque o dieci minuti, e anche più, mentre se non siamo consapevoli del respiro la mente avrà la tendenza a divagare. Quando corpo e mente sono insieme potete guardare in profondità, mentre se la mente è lontana e insegue i pensieri è difficile ottenere sufficiente concentrazione. E senza concentrazione vediamo le cose in modo superficiale. Alcuni insegnanti di Dharma del passato interpretavano questo esercizio come: “Sono consapevole dell’intero corpo del respiro”. Non sono d’accordo con questa interpretazione perché si tratterebbe di una ripetizione del secondo esercizio, che consiste già nella consapevolezza della lunghezza del respiro, “il corpo del respiro”.

Questa interpretazione parte dal presupposto che se siamo consapevoli di tutto il corpo, l’oggetto della nostra concentrazione diventa troppo vasto: ci sono il cuore, il fegato e tutti gli altri organi. Per questo preferisce limitare la concentrazione al “corpo del respiro”. Ma questo, a mio avviso, è sbagliato. Intere generazioni di praticanti hanno commesso questo errore. È estremamente importante essere consapevoli del proprio corpo. Il fegato, il cuore, gli occhi, le orecchie, l’intestino sono tutti elementi molto importanti della nostra pratica. Dobbiamo essere in pace con il nostro corpo, trattarlo in modo amichevole. Abbiamo invece spesso la tendenza ad odiarlo, a pensare che il corpo sia nemico della nostra spiritualità.

Il quarto esercizio consiste nel calmare il corpo:

Inspiro e calmo e rassereno l’intero corpo. Espiro e calmo e rassereno l’intero corpo.

Il corpo può essere agitato, il fegato o il cuore possono non essere in buone condizioni. Nel quarto esercizio seguiamo il respiro e calmiamo il corpo: calmiamo il fegato, il cuore, le palpebre, gli occhi, l’intestino, ogni parte del corpo. Se praticando non cercate di calmare il corpo, come potete calmare la mente? Per prima cosa, quindi, entrate in contatto con il corpo e calmatene ogni parte. In seguito calmerete ogni parte della mente. A volte abbiamo così tante preoccupazioni, ansie, paure, che il nostro corpo diventa teso, si irrigidisce ed è causa di molti disturbi. Non si tratta di malanni gravi, ma di piccoli problemi legati alla non buona condizione della mente che nuoce al nostro organismo.

Dobbiamo, quindi, per prima cosa ritornare al corpo: “Sei lì mio piccolo cuore, so che lavori duro e io non ti presto attenzione. Fumo, bevo troppo, e così ti faccio soffrire”. Sorridiamo al cuore o al fegato, sappiamo che sono in difficoltà e che stanno lanciando un segnale d’aiuto. Non pratichiamo il calmare solo a parole: abbiamo bisogno di sentire che ogni parte del nostro corpo è davvero in pace. Arriviamo ora ai quattro esercizi che hanno a che vedere con le sensazioni: il quinto è sulla gioia, il sesto sulla felicità, il settimo è sulle attività della mente, mentre nell’ottavo calmiamo le attività della mente e le sensazioni. Iniziamo dal quinto:

Inspiro e provo gioia. Espiro e provo gioia.

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